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Demansionamento infermieristico: origine di un male antico

Per capire il demansionamento dobbiamo fare un passo indietro. Non si tratta di un problema recente, né di una semplice questione sindacale o organizzativa. È un fenomeno radicato nella storia stessa della nostra professione.
Ma come siamo arrivati fin qui?

Le origini: il capro espiatorio perfetto

All’inizio del ‘900 il sistema sanitario italiano aveva bisogno di manodopera, di braccia che lavorassero a testa bassa. Con due sole figure a disposizione – medico e infermiere – era inevitabile che il peso maggiore cadesse su chi aveva meno voce in capitolo. E, guarda caso, meno strumenti culturali per difendersi.
Chi studiava dalle suore, in strutture religiose, aveva forse accesso alla conoscenza dei propri diritti?

La crescita dell’infermiere – da “servo” del medico a professionista autonomo – è avvenuta lentamente, ma inesorabilmente. E questa crescita ha dato fastidio a molti, soprattutto a chi avrebbe preferito tenerlo ignorante e obbediente.

La prova storica?
Un regio decreto del 1940 escludeva già allora l’assistenza di base dalle competenze dell’infermiere professionale. Ma chi lo sapeva davvero, in un’epoca senza internet e con una formazione opaca?

Eppure nel 1985 arriva la prima sentenza contro il demansionamento. E cosa accade? Viene insabbiata. L’infermiere non aveva i mezzi per conoscerla, né per farla valere. Era troppo facile far finta di niente.

Tessere, potere e poltrone

C’è un altro aspetto spesso ignorato, ma fondamentale: la politica sindacale.

La forza di un sindacato si misura in tessere. Più tessere = più potere. E allora ecco come, nel tempo, sono stati spostati migliaia di OSS e ausiliari dalle corsie agli uffici, spesso in cambio di favori o voti.
Non è un segreto: in ogni struttura troviamo OSS imboscati in ambito amministrativo.

Hai presente un OSS in ufficio ambiente con categoria BS4 che porta a casa 2700€ netti al mese? Tu, infermiere in corsia, prendi quella cifra?
E se gli togliessero oggi quei privilegi, tornerebbe a fare l’OSS in reparto?

Gli ordini: silenzi e conflitti d’interesse

Anche gli Ordini Professionali hanno un ruolo in questa storia. Fino al 1988 si parlava apertamente di demansionamento. Poi, il silenzio. Come se la parola fosse diventata scomoda.

E qui la domanda è legittima:
È normale che, fino a pochi anni fa, la stessa persona potesse essere presidente dell’Ordine per tre province, direttore di un SITRA e presidente di un corso di laurea in infermieristica?

È normale che, nel caso della sentenza del Gemelli, l’OPI si sia schierato contro l’infermiere, invece che difenderlo?

E ricordate quel famoso movimento infermieristico di protesta nato dieci anni fa? Doveva cambiare tutto, ma alla fine si è rivelato solo un trampolino di lancio per pochi furbi, pronti a usare i numeri per fare pressioni e scalare le poltrone.

Il danno collaterale

Alla fine dei conti, l’infermiere è un povero cristo. Non nel senso pietistico, ma nel senso più crudo: sacrificabile.
Nessuno trama apertamente contro di lui. Ma tanti, troppi, ottengono vantaggi e privilegi proprio a spese dell’infermiere. È il classico danno collaterale. Nessuno ti vuole male… ma il loro bene si costruisce sul tuo silenzio.

Il vero problema: anche noi

Ed è proprio questo che fa più male.

Puoi combattere contro sindacati, contro ordini, contro università, medici, perfino contro gli OSS. Ma quando ti accorgi che la più grande resistenza arriva dai tuoi stessi colleghi infermieri, allora sì che ti chiedi se valga davvero la pena lottare.

Perché il sistema si difende da solo.
Con un esercito di professionisti rassegnati, complici o disillusi.

Il demansionamento non è solo un problema giuridico o contrattuale. È un problema culturale e storico, che affonda le sue radici in un secolo di silenzi, interessi e mancate tutele.

E finché non ne parleremo davvero, apertamente, senza paura, continueremo ad essere una professione che evolve… ma con le mani legate.


Scopri la nostra sezione dedicata al demansionamento:

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