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Demansionamento: chi tace e chi ha coraggio

La laurea in infermieristica doveva rappresentare un’evoluzione: più competenze, più autonomia, più qualità nell’assistenza. E, in parte, lo ha fatto. Ma c’è un altro lato della medaglia: con l’autonomia sono arrivate anche maggiori responsabilità legali, oggi quasi equiparabili a quelle del medico.
Peccato che il riconoscimento economico e professionale sia rimasto lo stesso. O addirittura peggiorato, se si guarda alla frustrazione e al senso di abbandono che molti infermieri vivono ogni giorno.

Non è solo colpa di chi accetta il demansionamento

È facile puntare il dito contro i colleghi che “si adattano”. Ma il problema è sistemico e culturale, non solo individuale.
Molti non parlano per paura di ritorsioni, o perché si sentono senza voce in un sistema che da sempre li lascia ai margini. Ma è anche vero che nessuno cambia le cose da solo: chi alza la testa spesso viene lasciato solo, o addirittura ostacolato dagli stessi colleghi.

E qui nasce una contraddizione devastante: vogliamo cambiare le cose, ma siamo i primi a dividere il fronte. E senza un fronte unito, il cambiamento rimane solo un’idea astratta.

Libertà a senso unico

C’è un principio che spesso viene dimenticato:

“Io non ti obbligo a lottare con me. Ma tu non puoi obbligarmi a demansionarmi con te.”

Chi si espone non pretende che tutti lo seguano. Ma spesso accade il contrario: chi resta in silenzio pretende che anche chi dissente esegua mansioni improprie, quelle stesse contro cui si è esposto.
In pratica, la scelta di uno diventa l’imposizione per l’altro. È come dire: “Io non metto il casco in moto, quindi tu non puoi indossarlo neanche se vuoi rispettare la legge”.

Una sentenza è una sentenza. Una volta ottenuta, non è più solo un’opinione: è una regola da far valere. Chi la ignora sta violando non solo un principio professionale, ma un diritto. Ed è anche per questo che denunciare è doveroso: non solo per tutelarsi, ma anche per educare i colleghi.

Il sistema non lo cambieranno i millennial

E qui arriviamo alla generazione che potrebbe davvero cambiare tutto: la Gen Z.

Le nostre generazioni (millennial e precedenti) hanno resistito troppo a lungo, talmente tanto da finire come nella metafora della rana bollita: cotti, stanchi, incapaci di saltare fuori dalla pentola.
La Gen Z, invece, non ci entra neppure nella pentola.
Non si ribella rumorosamente, ma osserva, ragiona, e spesso se ne va in silenzio. Fa “quitting”, rifiuta in blocco il sistema, senza giustificarsi. E paradossalmente, è questa fuga di massa ad aver costretto le istituzioni a cercare soluzioni alternative, come l’assistente infermiere o l’assunzione di infermieri da Paesi a basso reddito.
Soluzioni discutibili, certo. Ma almeno hanno creato movimento. Fosse dipeso da noi, probabilmente non sarebbe cambiato nulla.

Ma forse qualcosa lo abbiamo seminato

È vero che le nuove generazioni non ci ascoltano. Ma forse ci osservano. E forse qualcosa hanno visto in chi, prima di loro, ha avuto il coraggio di dire “basta”, anche senza ottenere vittorie.
Noi abbiamo resistito troppo a lungo, ed è anche per questo che le cose non sono cambiate. Loro hanno capito che non ha senso resistere a un sistema che ti annulla.

E allora forse, il nostro compito oggi non è più guidare. Ma spalancare la porta, lasciare il testimone, e metterci finalmente al loro fianco.


Be Nurse nasce anche da questo: non dall’illusione di avere soluzioni in tasca, ma dal bisogno di trasformare uno sfogo in un fronte, un’idea in una rete, una voce in un’eco. Perché se non cominciamo a parlarne seriamente anche fuori dai turni e dalle chat sfogatoio, resteremo sempre a bollire nella stessa pentola.

Questo è quello che stiamo facendo per combattere il demansionamento infermieristico:

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